Negli ultimi giorni sono apparsi su alcuni giornali interessanti articoli che confermano l’intenzione del governo italiano a proseguire in una politica “armata”. Nuove armi e quindi nuove spese. Il tutto senza far troppo circolare la voce. 

Un proverbio dice che il bene si fa senza rumore, in silenzio, ma in questo caso anche i proverbi non valgono.

Propongo alcuni articoli da leggere e meditare.

Gustavo Gnavi, Punto Pace Ivrea

Varato il requisito per dotare i nostri sottomarini di armi in grado di colpire a oltre mille chilometri. Una svolta strategica che rivoluzionerà le capacità della nostra Difesa

di Gianluca Di Feo – La Repubblica 

articolo del 25 SETTEMBRE 2021

La Marina Militare italiana intende adottare i missili cruise, moltiplicando il raggio d’azione dei suoi sistemi d’attacco. Si tratta infatti di armi con una portata di oltre mille chilometri, che verrebbero imbarcate sui nuovi sottomarini e successivamente anche sulle fregate Fremm. In questo modo, la capacità di deterrenza contro minacce d’ogni tipo e la possibilità di tutela dell’interesse nazionale si allargherebbe – ad esempio – fino a includere l’intero territorio libico, con una possibilità di proiezione quasi illimitata. Una rivoluzione: attualmente i missili Otomat arrivano al massimo a duecento chilometri di distanza e sono solo in dotazione alle unità di superficie. Mentre i cruise – per avere un termine di paragone – saranno l’armamento principale anche dei sottomarini nucleari acquistati dall’Australia, al centro del dibattito internazionale in questi giorni.

La nuova missione

Il “requisito operativo” della Marina non è stato ancora finanziato, ma è stato recepito dallo Stato Maggiore della Difesa. L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone lo ha illustrato in un’intervista al mensile specializzato Rid, spiegando l’esigenza di migliorare gli strumenti di “naval diplomacy”. Si tratta della missione tornata dominante nelle acque turbolente del Mediterraneo, dove le navi militari si sfidano sempre più spesso per marcare le aree di interesse economico. Il caso più evidente è quello della contesa a largo di Cipro per lo sfruttamento dei giacimenti sottomarini di gas, con la flotta turca impegnata a imporre le pretese di Ankara in spazi che ufficialmente sono riconosciuti allo Stato cipriota. Una questione che riguarda direttamente l’Italia, poiché la concessione degli idrocarburi è stata assegnata anche all’Eni: potenzialmente, si tratta di scorte di gas del valore di molti miliardi di euro.

Contro le fortezze elettroniche

Ma il comandante della Marina ha sottolineato pure un altro aspetto, in apparenza molto tecnico. I missili cruise sono fondamentali per affrontare le nuove “fortezze elettroniche”, realizzate soprattutto dai russi: “bolle” protette da schermi radar e da batterie missilistiche anti-aeree e anti-nave, che servono a sbarrare la strada alle forze avversarie. Una è stata allestita intorno alla base siriana di Tartus, condizionando i movimenti nel Mediterraneo Orientale in un raggio di 3-400 chilometri. Diversi segnali fanno ipotizzare che altri di questi “castelli hi tech” possano sorgere presto in Libia: ad opera dei turchi in Tripolitania e delle brigate di Mosca in Cirenaica. E se l’Italia vuole ancora contare in quello che fu “il Mare Nostrum”, allora deve prepararsi a fronteggiare questa minaccia.

La scelta dell’arma

Non è stato deciso ancora quale sarà il modello di cruise che si vuole adottare. Per il futuro si pensa al franco-britannico FC/ASW, un progetto innovativo che però è ancora nella fase di studio e rischia di venire stroncato dalla lite tra Parigi e Londra per il contratto dei sottomarini australiani. Le alternative immediate sul mercato sono lo Scalp Naval, prodotto per la Francia dal consorzio europeo Mbda, e l’ultima versione del Tomahawk statunitense, che sulla carta pare la soluzione più probabile.

La lunga lancia del Pentagono

Il Tomahawk – dal nome dell’ascia dei nativi americani – è un’arma che ha segnato gli ultimi quarant’anni di storia. Venne concepita durante la Guerra Fredda per volare a bassissima quota, sfuggendo ai radar sovietici, e colpire con una testata nucleare. Molti ricordano la mobilitazione pacifista dei primi anni Ottanta per impedire che la Nato schierasse questi ordigni in Europa: l’aeroporto siciliano di Comiso fu l’epicentro italiano delle manifestazioni contro gli “euromissili”. Caduto il muro di Berlino, i cruise sono diventati i protagonisti tecnologici della “Tempesta del Deserto”, devastando i comandi iracheni nella prima notte dell’operazione per liberare il Kuwait. Ovviamente, al posto della testata nucleare utilizzavano una carica di esplosivo convenzionale. Da allora i Tomahawk si sono trasformati nella lunga lancia del Pentagono in tutte le missioni belliche: dal 1991 ne sono stati lanciati ben 2.300. Vennero usati nella rappresaglia contro le basi di Al Qaeda in Sudan e in Afghanistan dopo le stragi nelle ambasciate americane in Africa; per la prima ondata contro la Jugoslavia nella campagna in Kosovo; per bombardare gli accampamenti afghani di Osama Bin Laden pochi giorni dopo l’11 settembre 2001 e poi ancora in Iraq nel conflitto che portò all’occupazione del Paese. L’ultimo attacco risale al 2018: una salva di 63 ordigni fu scagliata contro la Siria per punire l’impiego di gas tossici da parte del regime di Damasco.

Missili Tomahawk in dotazione alla Marina Militare Italiana

L’ultima evoluzione   

Attualmente è in produzione la quinta versione del Tomahawk, con una portata che sfiora i 1600 chilometri e con una carica di circa mezza tonnellata di esplosivo. All’esterno, ha la stessa forma simile a un siluro volante, lungo quasi sei metri, dei modelli di quarant’anni fa ma i sistemi elettronici sono completamente nuovi. Secondo alcune fonti, sarebbe in grado di arrivare sul target con un margine di errore di dieci centimetri, la stima però pare assai ottimistica: è più probabile che si tratti di tre metri. Il sistema di navigazione si basa su un apparato gps coordinato con un una guida satellitare – entrambi “schermati” contro le contromisure – che permette di cambiare obiettivo anche durante il volo: nella fase finale ha un occhio elettronico, con un sensore termico che individua la sagoma dell’obiettivo. Inoltre è programmato per attaccare navi in movimento, gestendo manovre evasive durante la traiettoria finale per evitare le difese contra-aeree. E dispone di una ogiva speciale per distruggere bunker sotterranei o comandi fortificati. Non ci sono dati ufficiali sul costo, che dovrebbe aggirarsi sul milione di dollari per ogni esemplare.

Una svolta strategica

Finora gli Stati Uniti ne hanno permesso la vendita solo alla Gran Bretagna e all’Australia, storici alleati. L’eventuale cessione all’Italia non dovrebbe però rappresentare un problema, visto l’interesse della Casa Bianca a potenziare le marine della Nato in quadranti del pianeta da cui l’America si sta progressivamente ritirando. Per le nostre forze armate l’introduzione dei cruise rappresenterebbe un altro cambiamento strategico. Unita alla recente decisione di armare i droni Predator dell’Aeronautica, permetterebbe la possibilità di attacco su distanze attualmente inconcepibili, mettendo a disposizione delle autorità di governo una gamma di azioni di deterrenza mai viste prima. Dal punto di vista teorico, i bombardieri teleguidati e i cruise a bordo dei sottomarini cambieranno tutti i concetti della nostra Difesa, rendendola capace di presidiare l’intero “Mediterraneo allargato”: l’area di interesse nazionale definita nei documenti del governo, che va ben oltre i confini del mare. Uno sviluppo così radicale da meritare un dibattito parlamentare, per evitare che siano le innovazioni tecnologiche a determinare le scelte del Paese.


Direttiva Guerini: Italia sempre più armata

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

Manlio Dinucci Il Manifesto – EDIZIONE DEL28.09.2021

articolo PUBBLICATO il 27.9.2021

Oggi a La Spezia il ministro della Difesa Lorenzo Guerini inaugura SeaFuture 2021 (v. l’ articolo di Giorgio Beretta), la mostra militare-navale sponsorizzata dalle principali industrie belliche. In testa Fincantieri («sponsor strategico»), Leonardo («sponsor di platino») e Mbda (joint venture europea in cui Leonardo ha il 25%) che partecipa come «sponsor d’oro».

Il «Futuro» è già stato tracciato nella «Direttiva per la politica industriale della Difesa», emanata da Guerini il 29 luglio: l’Italia deve «disporre di uno Strumento militare in grado di esprimere le capacità militari evolute di cui il Paese necessita per tutelare i propri interessi nazionali», che assicuri «la sua appartenenza alla cerchia dei Paesi tecnologicamente ed economicamente avanzati».

La Direttiva, ribaltando l’Articolo 11 e altri principi costituzionali col silenzio-assenso del Parlamento, stabilisce che l’Italia deve sempre più armarsi. Allo stesso tempo stabilisce che l’Italia deve mantenere e rafforzare «la relazione strategica con gli Stati Uniti, per assicurare il coinvolgimento nell’innovazione tecnologica che trova negli Usa uno dei principali incubatori, per favorire l’accesso delle aziende italiane nel mercato americano e per posizionare meglio l’Italia nel contesto europeo».

La linea tracciata dalla Direttiva è già da tempo operativa.

Basti ricordare: l’imbarco sulla portaerei Cavour, la nave ammiraglia della Marina, dei caccia Usa F-35B a decollo corto e atterraggio verticale, al cui impiego la nave è stata certificata a Norfolk in Virginia; la decisione di armare i sottomarini e le fregate italiane di missili Cruise con raggio di almeno 1.000 km; la decisione di armare i droni Reaper, che l’Italia ha acquistato dagli Usa.

Questi e altri armamenti, di cui vengono dotate le nostre forze armate, non servono alla difesa ma all’attacco. La Cavour armata degli F-35B diventa una base militare avanzata che, dispiegata in lontani teatri bellici, può attaccare e invadere un paese; i sottomarini e le fregate possono colpire da grande distanza un paese con missili da crociera che, volando a bassissima quota sul mare e lungo il contorno del terreno, sfuggono alle difese anti-aeree; i droni Reaper, teleguidati da migliaia di km di distanza, possono colpire i «bersagli» umani con missili Fuoco infernale e bombe a guida laser o satellitare. L’Italia si sta così armando per partecipare ad altre guerre sotto comando Usa/Nato.

La «relazione strategica con gli Stati Uniti», stabilita dalla Direttiva, si sta rafforzando ogni giorno di più. Il gruppo Fincantieri, controllato per il 70% dal Ministero dell’economia, ha negli Usa tre cantieri, in cui sta costruendo dieci fregate multiruolo per la US Navy e quattro analoghe navi da guerra per l’Arabia Saudita.

La Leonardo – la maggiore industria militare italiana, che ricava dagli armamenti oltre il 70% del suo fatturato – fornisce negli Usa prodotti e servizi alle forze armate e alle agenzie d’intelligence, e in Italia gestisce l’impianto di Cameri dei caccia F-35 della Lockheed Martin. Il 30% dell’azionariato del gruppo Leonardo appartiene al Ministero dello Sviluppo economico.

Per questo alla mostra militare di La Spezia, a fianco del ministro Guerini del Pd partecipa il ministro Giorgetti della Lega. Definito «esperto di conti», pensa lui a gestire i 30 miliardi di euro già stanziati dal Ministero dello Sviluppo economico a fini militari e gli altri 25 richiesti dal Recovery Fund.

I 26 miliardi di euro spesi annualmente dal ministero della Difesa non bastano più. Occorre passare ad almeno 36 miliardi annui, come richiesto dalla Nato e ribadito dagli Usa. Tanto per fare due conti, la portaerei Cavour è costata 1,3 miliardi di euro, i 15 F-35B per la Marina costano 1,7 miliardi, e a questi si aggiungono altri 15 F-35B e 60 F-35A a capacità nucleare per l’Aeronautica.

Ci sono poi le spese operative: un giorno di navigazione della Cavour costa oltre 200 mila euro e un’ora di volo di un F-35 oltre 40 mila euro. Sempre con denaro pubblico sottratto alle specie sociali, investito in armi e guerre per «tutelare i nostri interessi nazionali e appartenere alla cerchia dei Paesi economicamente avanzati».


Difesa, i missili cruise e la svolta dell’Italia

di Gianluca Di Feo

Lo strumento militare e l’interesse nazionale

articolo del 26 SETTEMBRE 2021

L’Italia da sempre ha un’idea abbastanza confusa del concetto di “interesse nazionale” e soprattutto del modo di tutelarlo. Giustamente, in passato abbiamo preferito affidarci alla diplomazia e fare leva sulla nostra posizione nelle alleanze e nelle organizzazioni internazionali. Adesso però sta cambiando tutto, come ha dimostrato la lezione di Kabul. L’America guarda altrove, concentrata ormai nella grande competizione del Pacifico. E l’Europa non è in grado di sostituirla. Questa situazione mette il nostro Paese davanti a un problema, perché oggi il crocevia delle tensioni è nel Mediterraneo dove si sfidano potenze vecchie e nuove per accaparrarsi il controllo di territori, risorse economiche e rotte commerciali. Dalla Siria all’Algeria, passando per Cipro, Libia e Tunisia, il Mare Nostrum si è trasformato nella scacchiera di una partita di potere che condizionerà il futuro. Poco più a sud, nel Sahel, continua a divampare il più feroce focolaio jihadista contemporaneo, che rischia di allargarsi all’intera Africa centro-settentrionale.


In questo scenario, due decisioni si preparano a cambiare completamente le capacità della nostra Difesa: due scelte in apparenza tecniche, destinate però a determinare una svolta strategica. La prima trasformerà la squadriglia di droni da ricognizione in bombardieri teleguidati: sui Reaper dell’Aeronautica verranno installati missili e bombe, permettendo di condurre missioni d’attacco praticamente in qualsiasi parte del pianeta. Terminato lo schieramento in Afghanistan, oggi questi velivoli senza pilota con le coccarde tricolori continuano a decollare dal Kuwait per monitorare la rinascita dello Stato Islamico in Iraq mentre fino a due anni fa sorvolavano discretamente i cieli della Libia. Tra qualche mese, oltre all’attività di sorveglianza, potranno anche compiere raid d’assalto. 


La seconda iniziativa – non ancora finanziata, ma inserita tra i “requisiti operativi” dello Stato Maggiore – prevede di dotare i nuovi sottomarini e le fregate Fremm della Marina di missili cruise: armi con un raggio d’azione superiore a mille chilometri, che rivoluzioneranno la possibilità di intervento. I cruise potranno essere lanciati dai sottomarini in immersione, senza quindi venire scoperti, coprendo tutta l’aerea del “Mediterraneo allargato” che il nostro Paese considera fondamentale per l’interesse nazionale. Un esempio? L’intera Libia fino al remoto Fezzan, dove è ancora attivo l’Isis, sarà alla portata dei cruise. Ma in linea teorica, consegneranno ai decisori politici uno strumento di deterrenza senza confini. Si tratta infatti dello stesso tipo di missili che saranno imbarcati sui sottomarini nucleari australiani al centro del dibattito internazionale in questi giorni. E dell’arma che dal 1991 ha segnato tutte le operazioni statunitensi, dall’Iraq ai Balcani fino alla “punizione” contro il regime siriano per l’uso di gas proibiti nel 2018.


Il compito della Difesa – come ha ricordato il ministro Lorenzo Guerini nell’audizione alle Camere dello scorso luglio – è quello di “tutelare i nostri interessi nazionali, ovunque essi si collochino”. In quest’ottica, missili cruise e droni d’attacco rappresentano solo la risposta alla nuova realtà geopolitica: disporre dei mezzi per fronteggiare – da soli o in un futuro esercito della Ue – una serie di minacce condotte anche da territori lontanissimi, dimostrando una capacità di dissuasione concreta. Ciò che Francia e Gran Bretagna, giusto per restare in Europa, attuano già da decenni. Per l’Italia però si tratta di un grande cambiamento, che andrebbe recepito dal governo e dal Parlamento con la consapevolezza del ruolo che vogliamo avere in politica estera, senza lasciare che siano le innovazioni militari a definire la strategia del Paese. 

https://www.repubblica.it/commenti/2021/09/25/news/difesa_missili_cruise_italia-319412723/

Scrivi un commento