I profeti non sono fatti né per piacere né per restare nella bara. Neppure se ornata dalla bandiera arcobaleno della pace. È sulla loro eredità, pungolo continuo delle coscienze, che si misura ipocrisia e sincerità nel dolore per la perdita.

a cura di Carlo De Cicco

Il profeta è morto, viva il profeta. Accattivante il ricordo del vescovo Luigi Bettazzi e il suo appello per osare la pace, tracciato al suo funerale e sulle pagine della stampa che conta. Ma i profeti non sono fatti né per piacere, né per restare nella bara. Neppure se ornata dalla bandiera arcobaleno della pace. È sulla loro eredità, pungolo continuo delle coscienze, che si misura ipocrisia e sincerità nel dolore per la perdita. A Bettazzi è capitato quanto già visto per don Tonino Bello, l’altro vescovo presidente di Pax Christi, che lo seguì e ne condivise l’amore sincero e scomodissimo per la pace come modo migliore e veritiero di stare dalla parte degli ultimi secondo l’esempio di Gesù di Nazaret.

Resistere nel bene, senza mai ricambiare offese e rimproveri. Bettazzi lo ha fatto da vescovo gentiluomo, intellettuale tra i poveri e con i poveri, convertito dal concilio Vaticano II – come diceva di sé – a una Chiesa povera e dei poveri. E si sa, i poveri si nutrono di pazienza, ma non bisogna abusarne poiché arrivano tempi in cui la collera dei poveri – lo scriveva Paolo VI – diventa temibile. I funerali del vescovo Luigi sono stati una celebrazione di popolo di Dio che, in questioni di fede, è infallibile ripete sempre papa Francesco. “Nell’amore di Dio, nella pazienza di Cristo” motto episcopale di Bettazzi “oggi lo capiamo meglio” ha rimarcato il cardinale Arrigo Miglio nell’omelia della messa prima della sepoltura, considerando l’intera esistenza del vescovo emerito di Ivrea cucita da un filo rosso di spiritualità mai sguaiata né ostentata.

Intensa sintonia tra Luigi Bettazzi e la gente che aveva educato a considerare la Chiesa casa propria dove si vive e lavora amorevolmente per la giustizia e la pace. In piena umanità. Lo ha riconosciuto l’attuale vescovo di Ivrea Edoardo Cerrato. I potenti sono ospiti invitati a operare con giustizia e verità per il bene comune. Solo restando dalla parte del Vangelo la logica dei cristiani diventa disarmante perché non teme la verità. Tutti attori dell’avventura di un povero cristiano alla maniera di Celestino V chiamato da impensabili trame al soglio pontificio e prontissimo a ritirarsi quando constatò che non era aria di Vangelo quella che si respirava sul trono.

Ci sono due fotogrammi al funerale di Bettazzi che illuminano bene il senso di un profeta nella Chiesa che apre strade nuove senza pretenderle, ma proponendole e vivendole con nonviolenza. Non per questo meno scomode per chi resta. Alla preghiera dei fedeli una donna – forse di Pax Christi? – invita l’assemblea a pregare perché si arrivi allo scioglimento della Nato. E poi l’immagine di un’altra donna, energica collaboratrice del vescovo Luigi che al momento della tumulazione entra sola e per prima nella cappella della deposizione della bara, mentre cardinali, vescovi, preti e fedeli presenti cantano e pregano per l’estremo saluto al vescovo che ormai riposa con la croce pettorale d’acciaio e l’anello al dito donato ai padri del concilio da papa Montini.

Sono risuonate parole belle e importanti in morte di Bettazzi da parte del presidente dei vescovi italiani e specialmente dal papa che sembrano aver compreso il suo passaggio nel nostro tempo e l’impegno che ne scaturisce per la Chiesa in Italia. “Il sommo pontefice – si legge nel telegramma di Pietro Parolin, segretario di Stato, scritto a nome di Francesco – lo ricorda quale grande appassionato del Vangelo che si è distinto per la vicinanza ai poveri diventando segno profetico di giustizia e di pace in tempi particolari della storia della Chiesa, nonché Uomo di dialogo e punto di riferimento per numerosi esponenti della vita pubblica e politica italiana. Grato al Signore per questo intrepido Testimone del Concilio…”.

Allusione, forse, al famoso carteggio tra Bettazzi ed Enrico Berlinguer allora importante segretario del Partito Comunista Italiano che turbava i sonni dell’occidente capitalista sulla possibilità di un dialogo sincero tra credenti e non credenti. Eppure, in quel clima di guerra fredda tra l’Occidente e l’Unione Sovietica -identificata con l’Anticristo – vi fu una convergenza sostanziale tra la Santa Sede che operava per sostenere lo spirito di Helsinki con un dialogo positivo tra gli opposti sistemi e il vescovo Luigi che operava discretamente al disgelo tra Santa Sede e Vietnam comunista uscito vincitore dalla cruenta guerra con gli Stati Uniti. Per Bettazzi non era importante far filtrare quel difficilissimo dialogo per evidenziarne un suo merito, quanto piuttosto creare forti e leali legami di fraternità e ascolto sincero con chi, idealmente altro, convergeva per il bene del popolo e la giustizia.

Uno stile discreto, coperto, di Pax Christi anche per facilitare la vita delle persone nelle dittature del tempo in America latina. Ripetuti i tentativi di screditare l’immagine del vescovo definito “rosso” per tacitare la propria coscienza pungolata dal Vangelo inascoltato. Orecchi da mercanti che pensano di onorare Dio colpendo i profeti disarmati. Fortunatamente oggi, grazie a preti, sacerdoti, laici e perfino vescovi discepoli sinceri del vangelo, la via intrapresa dalla Chiesa cattolica con il magistero di Francesco, non permette di assimilarla con quel sistema economico che “uccide” i poveri della Terra e tiene in ostaggio l’intero pianeta sottoposto a stress climatico.

Si può dire con semplicità che a differenza della morte di altri profeti del passato anche piuttosto recenti, la Chiesa nelle sue componenti ha onorato Bettazzi in morte più di quanto lo fosse stato in vita. Resta da misurare la coerenza con la sua eredità spirituale che resta spinosa e non agevole. Lo ha sottolineato il cardinale Matteo Zuppi presidente della Conferenza episcopale italiana, impedito dal partecipare ai funerali del vescovo Luigi che fu anche ausiliare di Bologna ai tempi ruggenti del concilio e del cardinale Lercaro, tanto discusso per la sua idea di Chiesa dei poveri e di riforma liturgica.

Mai stanco di promuovere il concilio ricorda Zuppi in un messaggio alla diocesi di Ivrea in occasione delle esequie proprio in coincidenza del suo viaggio negli Stati Uniti per incontrare il presidente Biden in ordine a creare presupposti di pace in Ucraina. Zuppi si dice convinto che l’amato vescovo “assetato di pace e giustizia e di convinta non violenza” gli “avrebbe raccomandato di fare tutto ‘l’impossibile’”. “Non ha mai smesso di portare con libertà il Vangelo ovunque” scrive il porporato del presule, da non annoverare “nella folta schiera” di quanti “preferivano e preferiscono continuare ad usare le armi del rigore credendole indispensabili per difendere la verità e evocando improbabili periodi passati senza imparare dalla storia”.

Libero perché “amava Dio e la Chiesa – aggiunge Zuppi – monsignor Bettazzi “cercava il dialogo” e inoltre “comunicava la gioia di essere cristiano e annunciava la chiamata a tutti ad esserlo”. Era amabile, instancabile, gentile ma per niente affettato, scomodo, ironico, colto senza mai essere supponente”. Resta il compito di andare oltre le parole celebrative, ripensando seriamente all’impegno per la pace e la nonviolenza che resta l’eredità più vera del vescovo Luigi nel nostro tempo scompigliato dal conflitto in corso in Ucraina dopo l’aggressione della Federazione Russa. Proprio ricordando le parole d verità di Bettazzi su un conflitto tanto scomodo che butta alle ortiche ogni velo d’ipocrisia.

Per uscirne non servono più armi ma una verità e una sincerità che fa male all’anima non meno delle bombe. Con la differenza che la verità e l’amore ferendo risanano, le bombe uccidono e non risolvono. Sarebbe interessante non solo come sfida intellettuale ma come sfida esistenziale ascoltare due interventi del vescovo Luigi quasi centenario ma lucido e coerente sulla guerra tra Russia e Ucraina. Sanzioni sì, accoglienza ai profughi sì, intervento militare comunque presentato, no. “Semplicemente perché non è ragionevole”, sosteneva un mese dopo l’inizio dell’aggressione di Putin. “Persino al di là delle pur sempre chiare ragioni di carattere etico, non v’è chi non veda come qualsiasi apporto militare, non possa che condurre ad altri passi verso l’orlo del precipizio.

La non violenza è l’unica via possibile per la pace. Lo stop al proliferare degli armamenti è l’unica cosa “logica” per prevenire guerre future. Dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, si sarebbe dovuta ridimensionare anche la Nato: invece ha cercato di ampliarsi fino a lambire, con l’Ucraina, i confini della Russia”. Questo ragionare fa gridare allo scandalo quanti – forse a loro insaputa – continuano a declinare il mantra della necessità del sistema militare-industriale che regge l’instabile equilibrio mondiale. Putin non è giustificato – sostiene Bettazzi – ma è stato sollecitato da noi. Senza fare tutti un passo indietro per ripartire col piede giusto, dalla guerra non se ne esce bene per nessuno.

Il suo pensiero in merito il vescovo Luigi lo ha precisato con una sintesi mirabile di 10 righe lo scorso febbraio a un convegno di Pax Christi. “A un anno dall’inizio della guerra quel che osservo è che tutti siamo per la guerra perché anche se, come diceva papa Giovanni che la guerra è una pazzia e papa Francesco ripete che è una follia. È una follia sia la guerra di attacco sia la guerra di difesa. È sempre guerra. E abbiamo la mentalità che una guerra si possa vincere soltanto con un’altra guerra. Quello che ci manca è la mentalità della nonviolenza. La pace arriva soltanto attraverso la nonviolenza. Una guerra provoca una guerra e quella un’altra guerra”.

Dopo aver citato l’esempio positivo di Gandhi e Luther King, aggiunge: “È vero che sono morti perché la nonviolenza disturba i violenti e i violenti uccidono i non violenti, a cominciare da Gesù che insegnava la nonviolenza e lo hanno ucciso proprio per quello, perché disturbava i potenti civili e religiosi del suo tempo. Gandhi diceva di aver imparato la nonviolenza anche dal Vangelo, ma non si era fatto cristiano perché aveva visto quanti pochi cristiani in questo campo mettono in pratica il Vangelo. Sembra di accettare il male ma è l’unico modo di portare il violento a capire che non può con la violenza dominare gli altri…Bisogna studiare i modi per la nonviolenza specialmente noi cristiani. Credo che sia una riflessione che dobbiamo fare e una educazione che dobbiamo farci, noi cristiani per primi, ma tutti gli uomini.

Soltanto quando si arriverà a delle resistenze nonviolenti si sarà sul cammino della pace”. E pensare che queste cose le diceva un vescovo che appariva gioioso, quasi scherzoso. Non mi è mai capitato un interlocutore che mi chiedesse come mai quel vescovo sapesse creare e raccontare tante barzellette. Ne procurò tantissime anche al comico Gino Bramieri per le sue performance televisive domenicali. Era lo stesso vescovo Luigi che pregava tanto, con parole di silenzio; passava tanto tempo nel silenzio davanti al silenzio di Gesù eucaristia, memoriale della Pasqua di risurrezione, come aveva appreso alla scuola spirituale di Charles De Foucauld, il militare convertito nel deserto dell’anima, oggi santo, senza aver spintonato nessuno.


da Barbara Peruzzi, Segreteria Nazionale Pax Christi Italia – IMPRUNETA (FI)

Non servono più armi ma una verità che fa male come le bombe. La lezione di Bettazzi | L’analisi di Carlo Di Cicco (ripartelitalia.it)

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